IL GIARDINO DI ANTINOO Fare una scoperta importante nel campo in cui si lavora è certamente una magnifica e sconvolgente esperienza. Ci misi un po’ di tempo a rimettere i piedi per terra e ad iniziare il successivo e indispensabile lavoro di analizzare e studiare la mia scoperta.L’ipotesi da me formulata era ormai stata verificata, la tomba di Antinoo era stata ritrovata e dagli scavi del Mari e dai nostri studi emergeva il fatto che essa non era mai stata finita: completamente finiti erano stati soltanto i due templi, il giardino della tomba ed il recinto che li racchiudeva, mentre alla morte di Adriano restava ancora da fare la parte monumentale della tomba, la grande esedra, il sacrario di Antinoo-Osiride, il sancta sanctorum del giovane dio, una parte nella quale sarebbe stata certamente creata la sacra cella, quell’ambiente che forse sarebbe stato anche la tomba dello sfortunato giovanetto. Era chiaro che adesso toccava a me di analizzare quello che lì era esistito. Fu così che, mentre Mari si dedicava allo scavo e allo studio dei reperti, io rivolsi la mia attenzione alla ricostruzione del giardino.Molte tombe avevano giardini, ma molto distrutti ed era solo facile capire come fossero fatti basandosi sulla ricostruzione di alcuni di essi che ci erano stati tramandati sulle loro piante incise su lastre di marmo. Come si vede quanto ho finora esposto non è molto. Per fortuna esiste il giardino della tomba di Antinoo che noi possiamo ricostruire con la massima precisione. Infatti qui, come in tutto il resto di Villa Adriana, la piattaforma di tufo è affiorante e tutto il suo impianto ha dovuto esser ritagliato nella pietra: trincee per le siepi, fosse per gli alberi o arbusti, canalizzazioni e bacini. Tutto questo, eseguito con la solita precisione che troviamo nella lavorazione adrianea, è immediatamente riconoscibile, e chiarisce senza possibilità di dubbio come esso fosse stato disposto (fig 1).Dai nostri studi ricaviamo che al 138 d.C. e alla morte di Adriano il giardino con il suo recinto ed i suoi templi era stato completato. Dall’analisi del terreno risulta poi che il giardino sopravvisse fino alla fine dell’impero romano (fig 2). Infatti qui troviamo la stessa quantità di piombo che riscontriamo nel terreno del Canopo e delle altre aree monumentali che, create da Adriano su terreni fino allora incolti, vennero conservate, usate e tenute in ordine dai suoi successori.Ovviamente poi con le calate dei barbari, e l’abbandono del complesso questo luogo fu esposto a quei saccheggi e spoliazioni cui furono soggetti tutti i resti degli edifici romani. Per secoli le popolazioni locali usarono Villa Adriana come una gigantesca cava in cui recarsi per rifornirsi di colonne e lussuosi pavimenti per le loro chiese, di laterizi per i loro edifici, e di calce: quella magnifica calce che si otteneva bruciando nelle calcinaie i marmi delle decorazioni e le statue fatte a pezzi. Oltre tutto fin dall’VIII sec. d.C. la Chiesa invitava i fedeli a distruggere le imagini pagane, quindi, per la gente di quei tempi, prendere a picconate quelle opere d’arte equivaleva a compiere un’azione meritoria, senza contare che da esse si ricavava ottima calce. Dopo il passaggio di questa orda di cavallette a Villa Adriana restarono soltanto le nude mura. Neanche loro durarono molto: dopo qualche secolo di calma, e precisamente nel 1600, avendo deciso di sfruttare il terreno dal punto di vista agricolo, anche esse furono abbattute e lì nacque un bel vigneto. I muri, ormai spogli e rovinati, erano di impaccio, e si salvarono soltanto le basi dei due templi: far scomparire questi grossi ammassi di conglomerato avrebbe richiesto troppo lavoro. Bassi sul terreno, come erano, vennero considerati parte della piattaforma di tufo e trattati come tali. Oggi su questo ripiano roccioso messo anche troppo a nudo dallo scavo possiamo vedere tutte le tracce che i secoli vi hanno impresso. Dai mucchi di spezzoni di marmo che i saccheggiatori del complesso, ormai sazi di calce, avevano lasciato sul terreno (fig. 3)., agli ultimi scassi praticati nella roccia per impiantare la vigna, scassi che tra l’altro impedivano all’acqua delle piogge filtrata attraverso il terreno di scivolarsene via e la mantenevano nei loro bacini sfruttando il fenomeno della capillarità per mantenere umido il vigneto anche nei periodi aridi (fig 4) Gli scavi adrianei risaltavano ben chiari in mezzo a tutte queste cicatrici e disegnavano davanti ai nostri occhi il giardino tutto incentrato attorno ai due templi che in esso si confrontavano e attorno ai quali si stendeva un tappeto di mosaico a grosse tessere di marmo bianco. Due profonde trincee circondavano su tre lati i due templi ed erano evidentemente state create per impiantarvi una di quelle siepi di bosso o di alloro tagliate a forma secondo i dettami dell’arte topiaria dell’epoca. La siepe si fermava poi in linea con la fronte dei due templi laddove le prime due delle quattro cappuccine che tagliavano la piattaforma centrale sfioravano quasi le basi delle costruzioni. In continuazione però, aperte tra le quattro cappuccine e sempre allineate con le trincee, esistevano due file di quattro fosse rettangolari. È quasi sicuro che esse non dovessero essere destinate ad ospitare altre siepi, ma, per variare e dare più vita al giardino, è probabile che qui venissero coltivato cespugli di piante fiorifere come rose o oleandri.Questo era il giardino della tomba, ed esso era racchiuso in una cornice ricca e architettonicamente piacevole: cornice molto distrutta è vero, ma che è ancora possibile ricostruire. A sud, conservata fino a circa metà della sua altezza, si alza l’unica parte del muro del recinto ancora esistente, quella posta contro il taglio che, quando si era dovuto creare la piattaforma orizzontale su cui costruire la tomba, Adriano aveva praticato nella piattaforma di tufo degradante da sud verso le Cento Camerelle ( fig. 5), muro che fu poi conservato anche quando, tra il ‘600 ed il ‘700, tutte le strutture ancora esistenti nell’area furono abbattute per impiantare il famoso vigneto, muro salvato anche perché esso era tra l’altro necessario per proteggere la vigna dalle eventuali frane. Alla metà di questo muro si apriva una porta: essa dava accesso ad una rampa che raggiungeva la campagna posta più in alto e divideva la parete in due tratti ai piedi dei quali correvano due bassi canali larghi m 1.20 e rivestiti di marmo bianco (fig 6). Una lunga fila di nicchie poste sopra di essi riversava getti d’acqua nei sottostanti bacini. Altri due canali, sempre di marmo bianco, erano posti ai due lati della scala centrale che permetteva di raggiungere la piattaforma dell’esedra rialzata di 1 m sul livello del giardino (fig.7).Se è chiaro come fosse strutturata questa parte del giardino, non tutto riusciamo a sapere su come fosse sistemata la parte opposta. Per cominciare, dato che il banco di tufo sprofondava sempre più, qui lo spessore dello strato di terra aumentava continuamente e, dato che fu in esso che, a partire da un certo punto in poi la trincea fu scavata, oggi di questa parte non ne resta più traccia. Dato però che al suo inizio, il taglio nel tufo è ancora chiarissimo e lo si segue per parecchi metri, sappiamo che la trincea esisteva ed è ovvio che girasse attorno al tempio e fosse simile a quella dell’altra metà del giardino. Per il resto essendo questo muro tagliato a livello del terreno non potremo mai sapere cosa qui vi fosse. Chiaro che qui i bacini di marmo bianco non c’erano: ne avremmo ritrovato il fondo e data la mancanza delle vasche penso che si possa escludere che il muro fosse decorato da nicchie.In migliori condizioni troviamo il muro in cui si apriva il portale della tomba, quello principale che, posto ad est lungo la strada d’accesso al Grande Vestibolo, costituiva il fronte monumentale della tomba, e che era conservato per 40-50 cm di altezza. I muri ai due lati dell’accesso erano decorati da una serie di incassi (fig 7) che si ripetevano anche dalla parte del giardino con nicchie sfalsate corrispondenti agli intervalli di muro pieno posti tra quelle della parte opposta. Questa elaborata decorazione poi si fermava poco prima del portale d’ingresso lasciando liberi due lisci tratti di muro lunghi 6 m l’uno, spazi evidentemente preparati per appoggiarci qualche elemento particolarmente monumentale.Cosa mai si poteva mettere qui? Questa era la domanda che mi posi, e subito la mia mente corse a due opere d’arte altamente adatte alla bisogna: si trattava dei due Telamoni che rappresentavano Antinoo come un dio egizio e che oggi si trovano all’ingresso della Sala Rotonda dei Musei Vaticani. È vero che per queste due statue, che comparvero per la prima volta ai due lati della porta dell’Arcivescovato di Tivoli, non esiste nessun documento che ci dica dove, come e quando esse siano state trovate, ma sappiamo che nel ‘500 il saccheggio delle opere d’arte di Villa Adriana, cominciato ai tempi di Papa Borgia e degli scavi all’Odeon, era in pieno fervore. Agli inizi di quel secolo molte cose trovate a nel complesso adrianeo erano già state trasportate altrove e inserite in altri contesti e nessuno si preoccupò di documentare il fatto. Perciò sarei disposta a mettere la mano sul fuoco sul fatto che i due Telamoni, del tutto simili all’Antinoo egizio, come lui vestiti e posti persino nella stessa posa, non soltanto provengano da Villa Adriana, ma che essi siano stati scavati nella stessa area in cui questi fu scoperto: ossia mi sembra evidente che, come lui, anche essi dovessero far parte della decorazione della tomba e anzi che di questa fossero elementi essenziali. Fatto è che secondo me essi dovevano ergersi ai due lati della porta di accesso alla tomba, e lì stare appoggiati a quei tratti di muro larghi 6 m. I Telamoni non furono, però, le uniche opere d’arte trovate in questa area. Come abbiamo prima visto qui furono anche scoperte una ventina di statue egizie di marmo nero, ovviamente parte della decorazione del monumento. Il fatto che tali sculture siano state trovate negli scavi dell’area ci conferma nuovamente quello che già sapevamo, ossia che già prima della morte di Adriano il giardino era stato completamente finito. Infatti è evidente che il cantiere doveva esser stato chiuso, e questo perché nessuno sano di mente avrebbe lasciato preziose statue a spasso in mezzo ad affollati lavori edili: se così si fosse fatto le opere d’arte avrebbero rischiato di essere molto danneggiate. È infatti buona norma che fino alla chiusura dei lavori tutto il materiale decorativo venga conservato in un magazzino, così come, attendendo che l’esedra fosse completamente finita, immagazzinati erano stati l’Antinoo e l’Arpocrate e lì rimasero fino a che nel 1700 i possessori del lotto adiacente alla tomba, i fratelli Michilli, non li ritrovarono immagazzinati in una stanza delle 100 Camerelle.Ma i Telamoni non furono le uniche opere d’arte che vennero lì trovate perché da qui emersero ben 20 statue di dei e sacerdoti egizi. Sorge adesso il problema di dove nel progetto si trovassero queste statue. È evidente che non essendo finita l’esedra esse non potevano far parte della sua decorazione, ma guardando il giardino si vede che qui per esse esistono 20 sistemazioni possibili e precisamente abbiamo gli incassi del muro est che formano comode nicchie larghe 1.20 m e profonde 60 cm, luoghi perfettamente adatti per statue che essendo alte 1.50 m erano piuttosto piccole. Ovviamente, dato che davanti al muro correva la recinzione della strada d’accesso, uno sbarramento costituito da blocchi di pietra decorati da modanature ed alti circa un metro, le statue dovevano essere poste su una serie di piedistalli.