thumb_adriano_dei_museiNell’anno 130 d.C., mentre, risalendo il Nilo, Adriano e il suo seguito stavano visitando l’Egitto Antinoo cade dalla nave ed affogò. Cosa accadde e perchè è ancora un mistero.
Sparziano e Dione Cassio diedero delle fantasiose ipotesi sulla sua morte, ma non sono mai riuscita a credere a quello che hanno scritto. L’unica realtà fu che la sua morte colpì profondamente Adriano. Comunque l’imperaore era un geloso custode delle tradizioni e della dignità imperiale e per questa ragione non riesco a credere a Sparziano quando lo stoico scrive che egli lo pianse con “pianti femminili”. A quei tempi le donne non solo piangevano ma lo facevano con alti lamenti mentre con le unghie si graffiavano il viso e il petto fino a farli sanguinare. Adriano, imperatore romano non si sarebbe mai esibito in questi rituali. Naturalmente soffrì molto, ma continuò il suo viaggio come se niente fosse successo. Con Sabina ammirò il pianti dei colossi di Mennone al sorgere del sole e fu solo nel 134 avanzato che rientrò a Roma.Naturalmente prima di lasciare il luogo dove il suo giovane amante aveva perso la vita egli trasformò il villaggio di Besa in una città che venne chiamata Antinoopoli e vi costruì un bel tempio dedicato al ragazzo: un tempio per Antinoo, il nuovo dio come era stato riconosciuto dagli Egiziani per i quali chiunque morisse affogato nel Nilo veniva deificato e Adriano che non avrebbe mai potuto fari dichiarare Antinoo un dio dell’Olimpo classico aveva bisogno di quella divinizzazione. A quel momento egli avrebbe accettato qualsiasi forma di divinizzazione gli fosse stata offerta perché solo così gli sarebbe stato possibile di costruire per il suo amato ragazzo il tempio che aveva in mente di preparagli a Villa Adriana.Penso che tutti sapessero che Adriano, che aveva costruito tombe per i suoi cani ed il suo cavallo, e che aveva restaurato ed adornato le tombe della gente che egli aveva ammirato come quella del bellissimo Alcibiade, avrebbe provveduto ad erigere una tomba per Antinoo nella sua residenza tiburtina. Così pensava Kähler e così pensava Grenier, solo che loro se la immaginarono nel posto sbagliato. Tutti e due, come quasi tutti gli altri in quel momento pensavano che tutte le statue egiziane trovate a Villa Adriana fossero state scavate al Canopo ed a Roccabruna e perciò erano sicuri che la valle solcata dal grande canale fosse il centro egiziano di Villa Adriana, e fu con questa idea ben fissa nella mente che lì cercarono la tomba.Certamente sarebbe stato meglio se essi, come subito avevo fatto io, avessero speso più tempo a studiare Piranesi leggendo quanto egli aveva scritto nelle didascalie che illustravano la sua pianta e avessero ben esaminato questa pianta sulla quale i luoghi dove erano state scavate le statue egizie erano chiaramente segnate con le lettere X e Z. Se lo avessero fatto avrebbero scoperto che quelle opere d’arte erano statue decorative dei giardini terrazzati alti sulle colline che circondavano la valle. Sarebbe pure stato meglio se avessero perso più tempo a studiare le mappe catastali del 1600 e del 1700 per vedere quali fossero i limiti della proprietà dei Gesuiti. Non avendolo fatto essi ignorarono che questi limiti confinavano con il Pecile e che fu lì che, piantando le loro vigne, essi scavarono 20 statue egizie. Dieci nel 1600 e le altre dieci nel1700, un’informazione che poi si poteva facilmente trovare perché si leggeva in una nota lasciataci dal Bartoli, un archeologo del 1600, il quale aveva affermato che le dieci statue trovate in quel secolo erano emerse “incontro alle Cento Camerelle”. Grenier conosceva questa nota del Bartoli, ma scelse di interpretare le Cento Camerelle come gli alloggi per gli ospiti del Canopo (40 stanze invece delle 125 delle Cento Camerelle), e questo lo portò a creare una fantastica ricostruzione del Canopo con la testa della Iside - trovata dal Ligorio alla Palestra , esattamente ad un km di distanza e a 30 m al di sotto del livello del Canopo – posta in una nicchia fatta come una grotta, un luogo dove i Romani normalmente esponevano statue di Ninfe o di mostri, non certamente di dee. Inoltre egli allineò nella galleria e nell’Esedra dal Caopo tutte le statue di Antinoo e quelle egizie che erano ai Musei Vaticani e altrove senza assolutamente far caso a dove esse fossero state trovate.Io avevo altamente protestato su questa ricostruzione, ma fino a quel momento non mi ero mai interessata alla tomba di Antinoo e mai avrei pensato alla mia età e con i miei acciacchi di poter fare a Villa Adriana ancora una scoperta e per giunta così clamorosa, ma così accadde. È vero: la tomba di Antinoo era uno dei misteri che avevano attratto l’attenzione di quasi tutti coloro che avevano studiato Villa Adriana, ma senza successo. La trovai io, ma fu soltanto una questione della persona giusta, al momento giusto e nel posto giusto. Era ovvio che sarebbe toccato a me: vivevo a Roma; avevo rilevato tutti i suoi 126 ettari, tracciato la nuova mappa di Villa Adriana e di tutti i suoi edifici, inoltre conoscevo il lavoro di Adriano così bene che potevo sempre ricostruire perché e come avesse progettato ogni cosa: Per concludere avevo studiato Villa Adriana per più di trenta anni, ma soprattutto avevo sempre avuto una gran fortuna e fu sempre la fortuna ad aiutarmi.La scoperta in questione fu una conseguenza degli ottimi scavi che l’allora soprintendente del Lazio, la dott.ssa Reggiani aveva fatto sull’accesso a Villa Adriana dai piloni del cancello a tutto il Grande Ingresso una parte del complesso che io avevo visto sempre completamente seppellito. Lo scavo aveva scoperto il grande viale di accesso fatto ad anello che permetteva alle carrozze degli ospiti di raggiungere lo scalone che portava nell’ingresso, lì far scendere i loro passeggeri e poi ritornare indietro per l’altro ramo del viale e uscire senza creare intoppi al traffico.Comunque avendo lo scavo messo in luce tutto l’ingresso principale erano state scoperte anche le aiole del primo peristilio fino allora completamente seppellito dal materiale tolto dalle Grandi Terme, e siccome la Prof.ssa Jashmesi, giustamente famosa per i suoi studi sui giardini del mondo antico, stava organizzando un volume “Gardens of the Roman Empire” che sarà pubblicato dall’Università di Cambridge, Io come curatrice per il Lazio, chiesi alla dott.ssa Reggiani se poteva partecipare con un articolo su tale giardino. Gentilmente la dott.ssa Reggiani accettò e tra le altre cose mi rimise anche una pianta completa dello scavo e, siccome questa era m9olto grande decisi di ridisegnarla sul mio computer per averla così digitalizzata e poterla più facilmente mandare in America.Così ricominciai a misurare tutto e riportarlo in scala e fu in quel momento che la mia attenzione fu attratta da una grande e composita struttura che era posta proprio all inizio dei viali di accesso e che per quello che riuscivo a vedere era sul limite esterno del predio imperiale. Fino a quel momento tutti, compreso il dott. Mari che me lo aveva mostrato, mi avevano spiegato che era un ninfeo ed io non avevo nessuna ragione di dubitarne anche mi sembrava un ninfeo un po’ strano perché era sproporzionato col resto di quanto si vedeva e per di più era troppo grande e imponente per essere la semplice decorazione di un giardino. Una delle cose che non mi persuadeva era l’esedra o quello che sembrava esserne rimasto, perché delle sue mura non c’era traccia. Essendo un architetto potevo immaginare come l’esedra dovesse esser fatta e vedevo che una volta completata sarebbe stata coperta da un’abside come quella del Canopo. A provarlo erano i resti di due o forse tre emicicli, concentrici su cui dovevano sorgeremura di circa 1.30 m di spessore. In una parola si trattava dello stesso sistema usato da Adriano per erigere il Canopo e sostenerne la volta. Le esedre poi erano strutture da lui molto amate e ripetute in tutto il complesso. A Villa Adriana ne abbiamo 5, e forse altre tre stavano attorno al Vestibolo dell’Accademia, ma quella che adesso stavo studiando era enorme e aveva 30 m di diametro contro i 14 del Canopo: una volta finita doveva esserne stata il doppio. Ora soltanto le tracce degli emicicli affioravano dal suolo, ma chi mai avrebbe potuto compiere una simile distruzione? Certamente dopo la caduta dell’Impero Romano Villa Adriana era stata saccheggiata. La gente del posto ave portato via le colonne e i marmi per le loro chiese e avevano fatto calce delle sue statue, ma, a parte di togliere i laterizi dai suoi muri essi non avevano mai distrutto gli edifici.Comunque un certo numero di altri indizi mi rendevano molto sospettosa su questa grande e composita struttura. Notai che tutte le sue parti consistenti nelle basi di due templi che si confrontavano e nella grande esedra erano non soltanto contenuti in un muro di recinzione, ma - e questo era realmente importante – tutto era posto al di fuori dei limite del predio imperiale. Ora questo era il modo in cui i Romani costruivano le tombe e a questo momento seppi di cosa si trattava. Una tomba enorme e importante, ma per chi era stata fatta?Così mi concentrai di nuovo sugli studi dei miei predecessori. Nel 1500 Ligorio che non aveva scavato, non ne aveva fatto parola. Nel 1650 Contini facendo il rilievo del posto aveva segnato che, dove adesso vedevo i resti, c’era una macchia di alberi e scrisse che tra essi si vedevano delle rovine, ma, secondo lui, erano state completamente distrutte dai saccheggiatori. Anche Piranesi vide le rovine e, basandosi su alcuni dei muri da lui rilevati, disegnò un intero tempio classico, un edificio che non era parallelo né al Pecile né alle Cento Camerelle. Adesso so che questo accadeva perché egli aveva scelto come muro laterale del tempio uno dei muri ancora restanti che partivano a raggiera dal centro degli emicicli. Ossia sia Contini che Piranesi avevano visto i resti della tomba, ma solo superficialmente e quindi non potevano sapere cosa essa fosse. Piranesi pensò che i resti fossero quelli di un tempio e, dato che egli credeva che le Cento Camerelle fossero le caserme dei Pretoriani, esso fosse stato dedicato ad Ares.Io però ero sicura che qualsiasi cosa fosse quel tempio esso non poteva mai essere stato dedicato né ad Ares né a nessun altro dio dell’Olimpo e questo per una buonissima ragione, perché nel 1970, mentre stavo rilevando la zona, avevo lì trovato un mucchio di marmi che, come mi spiegò Egizio, uno dei giardinieri, erano stati accumulati da suo nonno il quale stava coltivando il pezzo di terra dove oggi sappiamo che vi era la tomba di Antinoo. Così quando il suo aratro si scontrava con un pezzo di marmo lo scaricava lontano dal suo pezzo di terra. Ora cercando tra quelle lastre si marmo ne trovai una decorata da un Ureus e questo mi diceva che qualsiasi cosa fosse quello che aveva visto Piranesi esso doveva essere un edificio egizio. A conferma della mia idea c’erano anche tutte le statue egizie che lì erano state trovate a cominciare dall’Antinoo- Osiride e all’Arpocrate, più una ventina di altre statue egizie di cui 10 erano state trovate dai Gesuiti mentre nel 1650 scavavano il terreno per impiantare vigne (quelle segnalate dal Bartoli) e altre dieci sempre da essi trovate nel 1700. Sono altresì convinta che qui dovettero essere scoperti anche i due Telamoni che, sotto forma di Antinoo-Osiride, si trovano oggi al Vaticano e che a lungo erano stati ai due lati della porta di ingresso dell’Arcivescovato di Tivoli.Ora che lo scavo aveva completamente messo allo scoperto la recinzione del monumento e che non c’erano più dubbi sul fatto che essa fosse una tomba, restava una sola domanda a cui rispondere: a chi tra le persone a lui vicine Adriano era tanto legato da volergli dedicare un simile monumento e quale di loro era tanto collegato coll’Egitto? C’era solo una risposta possibile: Antinoo, il ragazzo tanto amato che erra affogato nel Nilo. Soltanto per lui Adriano negli ultimi anni della sua vita poteva erigere questo eterno memoriale.A quel momento tutto mi fu chiaro. Capii perché c’erano solo le fondazioni dell’esedra. Quello che io vedevo non era un monumento che era stato distrutto, ma era uno che era appena stato cominciato e da quel momento tutto divenne semplice. Del resto era evidente che Adriano, partito nel 128 d.C. non avrebbe mai potuto pensare ad una tomba per Antinoo che morì nel 130 e fu solo dopo il suo ritorno del 134 che poté farlo. Adriano arrivò verso la fine del 134 d.C. e per quello che si capisce il 135 passò nel trovare il posto dove situare la tomba, farne il progetto, ordinare tutti i materiali necessari, e allestire il cantiere. Capivo che perché tutto questo fosse pronto si dovette arrivare al 136 d.C. e che l’enorme massa di laterizi necessari per l’esedra non sarebbero arrivati prima del 138 d.C. anno in cui la morte di Adriano segnò la fine di tutti i lavori e lasciò la tomba incompleta. Nel frattempo comprando tutti i laterizi disponibili sul mercato si fecero opere minori come quelle idrauliche e, datati come erano del 134 d.C., confermarono la mia predizione quando essendo stato Mari incaricato di fare un saggio per vedere se avevo ragione io, gli dissi che i bolli che avrebbe trovato avrebbero portato quella data. I due templi che si confrontavano, costruiti con blocchi di marmo e il muro di recinzione, che andava fatto in fretta, con blocchetti squadrati di tufo, furono ambedue finiti quasi subito. Dal saggio di soli 40 m2 fatto dal Mari, cominciò subito a saltar fuori di tutto. Tutti i ritrovamenti che erano stati fatti in passato e quello che Mari trovò nei suoi scavi confermarono che il monumento era stato eretto per Antinoo.Era una tomba enorme però e Adriano sapeva che nessuno avrebbe accettato un simile monumento per un bel ragazzo che era stato il suo amante, ma sapeva anche che nessuno avrebbe potuto trovar niente da ridire se esso fosse stato destinato ad un dio. Per questo egli non soltanto accettò la sua divinizzazione come un dio egizio lui che, come sappiamo da Sparziano, disprezzava tutte le religioni straniere. Comunque per Antinoo Adriano creò una religione che fu molto seguita ed ebbe templi in tutte le parti dell’impero. A Villa Adriana non ci sarebbe stata una tomba ma un sacrario. I due templi di marmo che nel giardino della tomba si confrontavano avrebbero ospitato altre divinità egizie lì riunite per omaggiare il giovane nuovo dio. Anche grandi Faraoni erano lì per rendergli omaggio come prova il frammento di una statua di Ramsete II.Tra gli altri ritrovamenti interessante è il resto di un trono con iscrizioni geroglifiche sulla sua base. Probabilmente stava in uno dei due templi. Altre sculture sempre egizie furono trovate. Al momento Adriano non poteva cominciare a costruire la grande esedra perché doveva aspettare i laterizi e gli ordini per questi dovettero essere diramati all’inizio del 136. Per averli in cantiere dovevano passare due anni e li avrebbe avuti nel 138. Tutto era pronto eccetto il tempio di Antinoo, ma il posto dove questo doveva sorgere era perfetto: era in vista della camera da letto del palazzo di inverno di Adriano. Se fosse vissuto egli lo avrebbe sempre visto come prima cosa alla mattina e come ultima alla sera.Il tempo passava e il Luglio 138 si avvicinava sempre più. L’imperatore stava morendo e con la sua morte tutto si arrestò. Della colossale esedra restarono soltanto quelle tracce che gli architetti erano obbligati a mettere sul terreno per indicare quello che si doveva fare. Della tomba di Antinoo che sarebbe stato l’ultimo tocco da maestro della sua creazione restarono solo le tracce degli emicicli, estrema dichiarazione di amore per il ragazzo che era morto così giovane.
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